Le nuove ricerche archivistiche su Pienza hanno permesso di rintracciare diversi atti solo in parte già presi in considerazione per le precedenti pubblicazioni sulla pieve di San Vito di Corsignano e sulla presenza camaldolese a Pienza, a cui aggiungere alcuni documenti non attinenti tali argomenti forse riconducibili a Pienza. Il presente contributo ha così la possibilità di integrare le precedenti pubblicazioni, con la conseguenza di poter fare meglio conoscere la storia di Pienza durante il suo periodo medievale. Per comodità di lettura, tali atti, che coprono un lasso di tempo compreso fra i secoli VII e XIV, vengono qui di seguito suddivisi per argomento.
Quale fu la logica prevalente nella scelta dell’itinerario che nell’estate del 1464 condusse papa Pio II fino al porto di Ancona?
Si tratta di una domanda non banale e neppure sterile, perché dalla risposta ne possono scaturire tante informazioni e considerazioni sulle ragioni e sul pensiero che guidarono il pontefice nell’ultima sua missione e che, nonostante il fallimento materiale dell’opera, servì all’Occidente a prendere coscienza di determinate condizioni e circostanze ormai mutate, come la possibilità di indire una crociata, quale «iustum bellum, quib. necessarium, et pia arma, quibus nulla nisi in armis relinquitur spes»
FABBRICA; BORGO E CASTELLO
UNA TERRA DI CONFINE (Canonica 11 – Pag. 5)
Con il “motu proprio” di Pietro Leopoldo del 2 giugno 1777 si pose fine all’esistenza amministrativa di un “comunello” denominato Fabbrica Piccolomini; si trattava di un nucleo abitato rurale formato da agglomerati di case sparse, situato a circa cinque chilometri ad Est del centro abitato di Pienza ed a confine con il territorio di Montepulciano, nucleo che in quell’anno perdeva la qualifica di unità amministrativa e veniva assorbito dal Comune pientino. Ma la storia di questo frammento di territorio merita un approfondimento perché, grazie alla sua posizione di passaggio (antiche direttrici lo attraversano) e di confine (per secoli senesi e fiorentini si sono contesi castelli e fortilizi, distruggendo e ricostruendo torri e muraglie per avanzare e per difendersi dalle avanzate altrui), è stato testimone di antiche civiltà e di significative vicende storiche.
ENEA SILVIO PICCOLOMINI
ICONOGRAFIA
Dipinti, miniature, sculture e medaglie
dal XV al XIX secolo
(Canonica 10 – Supplemento 4, pag.91)
Lo studio che segue, concepito, per facilitarne la lettura, come un catalogo con le relative schede, tratta dell’iconografia di Enea Silvio Piccolomini in pittura, miniatura, scultura e medaglistica, partendo dal XV secolo fino al secolo XIX. Sono state volutamente escluse le sezioni delle incisioni, antiche e moderne, e delle opere d’arte, eseguite nel XX e XXI secolo, che riproducono l’effige di Pio II che potranno, auspicabilmente, essere trattate in successivi contributi.
ARCHEOLOGIA A CAVA BARBIERI
UNA TESTIMONIANZA DELLA PRIMA ORA
(Canonica 10 – pag. 83)
La figura di Ferrante Rittatore Vonwiller – prematuramente scomparso nel 1976 – è leggendaria nel mondo dell’archeologia e non credo di doverne parlare: su Internet si trova di tutto e di più.
In zona aveva fra l’altro partecipato nel maggio del 1959 al III Convegno di Studi Etruschi ed Italici – a Montepulciano ospitato dalla contessa Secchi Tarugi – con i “colleghi” Pallottino, Heurgon, Devoto, ecc., ai quali nella circostanza aveva anche fatto da guida in una visita alle ancora poco note grotte di S. Maria a Belverde – a Sarteano – già oggetto di particolare attenzione da parte sua.
ONESTA PICCOLOMINI
L’AZIONE SILENZIOSA DI UNA “MAGNIFICA DONNA”
(Canonica 10 – pag. 55)
La storica americana Joan Kelly oltre quarant’anni fa pose la provocatoria domanda: «Did women have a Renassaince?», ossia c’è stato un Rinascimento per le donne? La questione torna di attualità nel momento in cui ci si ritrova a ricercare in filigrana le tracce di biografiche di una donna vissuta nel Cinquecento, dopo aver potuto leggere che «Onesta Piccolomini è sepolta nella cappella degli Ottoni nella chiesa di San Francesco a Matelica». Si tratta una stringata informazione, tratta forse da un registro dei morti perduto, che svela però gli stretti legami che univano la potente e nobile casata toscana alla famiglia di origine longobarda che dominò per secoli l’alta valle del fiume Esino. Chi era Onesta Piccolomini? E cosa ci faceva a Matelica?
A seguito dell’edificazione del monastero di Camaldoli da parte di San Romualdo, fra il 1025 ed il 1027, sorse la congregazione dei camaldolesi, pur non contemplata dal fondatore sebbene ne dettò la regola, permettendole di rimanere all’interno dell’ordine benedettino in virtù di quella indipendenza e di quella autosufficienza di ogni singolo cenobio volute da San Benedetto attraverso la propria regola.1 Fin dal primo momento la nuova congregazione crebbe sia nel numero di monaci che di monasteri, grazie a riforme e donazioni ottenute tanto da ecclesiastici che da imperatori ed i relativi documenti, almeno in parte giunti fino all’epoca contemporanea, forniscono le località in cui si insediò la congregazione e talvolta i nomi dei monaci camaldolesi.
Quando si parla di labirinto, il primo che viene in mente è, senza dubbio, quello mitologico di Minosse nell’isola di Creta. Quello a cui si riferisce la nostra storia è invece tanto reale che si può toccare, vedere e visitare. A nessuno, forse, è mai venuto in mente di costruirne uno sotto ad una chiesa. Questa idea non passava per la testa neppure al suo costruttore, ma proprio un labirinto è nato sotto l’abside del Duomo di Pienza, per altro, in tempi piuttosto recenti.
Abbiamo riunito in questa pagina tutto il materiale dell’iniziativa culturale CORTILI APERTI voluta ed organizzata dal 2004 al 2014 da Francesco Dondoli. Gli scritti, le riproduzioni delle pubblicazioni e le foto sono stati già pubblicati nei numeri di Canonica n. 1, 3 e 5 e sono stati qui riuniti per una migliore fruizione.
LA ROCCACCIA. UNA ROCCA DI CONFINE. MILLE VOLTE PRESA, MILLE VOLTE PERSA
(Canonica 9 – pag. 17)
Percorrendo la Statale 146 che collega Pienza a Montepulciano l’antico rudere della Roccaccia si intravede appena ma, anche se coperta dall’edera fino alla sommità, la torre diruta ci racconta una storia millenaria.
Dell’antica rocca di confine oggi non restano che frammenti murari poco riconoscibili ma un tempo questo luogo costituiva, insieme agli insediamenti vicini, un sistema difensivo e rurale assai importante.