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Raccolta estemporanea di “pillole” di notizie e curiosità su Pienza ed il suo territorio, raccolte da siti web, giornali, riviste, libri e altre fonti. (A cura di Umberto Bindi)

UNA MERIDIANA ASTRALE IN PIAZZA PIO II

Ripubblichiamo l’interessante articolo uscito il 6 settembre 2014 a cura dell’Arch. Rosa Maria Trentadue invitando i lettori ad osservare il fenomeno riprodotto nel plastico della piazza esposto nel Palazzo Vescovile a partire dallo scorso 11 agosto 2023.

La riproduzione dell’ombra della facciata del Duomo di Pienza durante gli equinozi, nel plastico ligneo vistabile nel Palazzo Vescovile – Piazza Pio II)

 

Quando il 29 agosto 1462 papa Pio II inaugurava la Chiesa di S. Maria Assunta, meglio nota come Duomo di Pienza, i numerosi intervenuti poterono assistere al fenomeno dell’ombra circoscritta sulla piazza.

L'ombra ripresa dalla torre di Palazzo Comunale (Ore 13:20 del 1 aprile 2001)
L’ombra ripresa dalla torre di Palazzo Comunale (Ore 13:20 del 1 aprile 2001  – Foto Umberto Bindi)

L’evento, riscontra-bile solo due volte l’anno, consiste in una particolare proiezione della facciata del Duomo sulla piazza antistante; la sua ombra infatti, colma completamente i nove riquadri della pavimentazione. Il fenomeno scoperto dall’architetto Jan Pieper aggiunge un nuovo valore all’edificio ecclesiastico che può essere considerato una gigantesca meridiana; nessun altro complesso monumentale presenta caratteristiche analoghe.
Dettagli architettonici e asserzioni del papa committente (cfr. Commentarii, IX, 24) portano a ritenere che proprio il fenomeno dell’ombra abbia determinato l’insolito orientamento della chiesa con il coro rivolto a sud piuttosto che ad oriente.
Con questo gigantesco orologio solare il papa desiderava richiamare alla memoria dei fedeli concetti quali la caducità della vita terrena, la fugacità del tempo, il rinnovarsi ciclico dell’esistenza. Il messaggio era chiaro: alla “luce” della chiesa, simboleggiata dall’apertura circolare (occhio) presente in facciata, veniva contrapposto l’anello di pietra inserito nella pavimentazione della piazza. Reso buio dall’ombra, il cosiddetto ombelico individuava dunque il male, le tenebre e l’oscuro inconscio. A sottolineare il rapporto tra i due elementi architettonici concorrono le loro misure; l’altezza dal centro del rosone alla base della facciata della chiesa è uguale alla distanza intercorrente tra la base considerata e il centro dell’anello lapideo. Uguale è anche il loro diametro.

L'ombra ripresa da un pallone frenato. E' visibile l'esatta riproduzione del fenomeno (10 settembre 1985 - Foto PIEPER)
L’ombra ripresa da un pallone frenato. E’ visibile l’esatta riproduzione del fenomeno (10 settembre 1985 – Foto Arch. J. Pieper)

Ancora oggi è possibile osservare questo evento ma non nella stessa data a causa del mutamento del sistema calendaristico avvenuto nel 1582. Per comprendere la questione occorre far riferimento ad alcuni concetti base: l’anno solare, cioè il tempo che la Terra impiega per tornare nella stessa posizione rispetto al Sole è di 365 giorni, 5 ore, 48 minuti, 46 secondi dunque 365,2422 giorni.
Per le attività quotidiane necessita un anno civile, cioè un calendario costituito da un numero intero di giorni. Come recuperare allora gli 0, 2422 giorni?
Giulio Cesare fornì una risposta a questa domanda introducendo un calendario noto come calendario giuliano. Il valore dell’anno solare qui adottato però, era leggermente superiore al vero (11 minuti e 14 secondi) e la differenza con il passare dei secoli si fece sentire.
Nell’anno 1459 data in cui ebbe inizio la costruzione del Duomo, era stato accumulato un errore di circa 11 giorni e l’equinozio di primavera si ebbe in data 10 marzo anziché 21 marzo. Poiché in base all’equinozio primaverile era definita la data della Pasqua (prima domenica dopo il plenilunio successivo all’equinozio di primavera), l’errore causato dal calendario era giunto ad alterare la relazione esistente tra evento astronomico e avvenimento religioso. Necessitava dunque una riforma calendaristica; la più importante venne elaborata da Niccolò Cusano nel corso del XV secolo.
Sebbene Pio II, mosso da interesse scientifico, fosse propenso alla riforma, la decisione per l’adozione del nuovo calendario fu continuamente rimandata per motivi politico-religiosi.
Il fenomeno della proiezione dell’ombra del Duomo non fu quindi calcolato per avvenire il giorno del “vero” equinozio, ma per il “falso” (equinozio del calendario giuliano).
Nel 1582 papa Gregorio XIII adottò il calendario gregoriano tuttora impiegato; in seguito a questa riforma, l’ombra è oggi visibile a mezzogiorno del 1 aprile (ma va calcolata l’ora legale in più e alcuni minuti di sfasamento causato dagli oltre 500 anni trascorsi).
Il fenomeno si ripresenta quindi 10 – 11 giorni più tardi dell’equinozio primaverile e 10 – 11 giorni prima dell’equinozio autunnale (11 settembre di ogni anno).
Si possono fare osservazioni anche nei due giorni precedenti e successivi a queste date considerando però, che la sua lunghezza varia giornalmente di circa 15 centimetri.


Il CALENDARIO GIULIANO

(oggi abrogato) Era il calendario solare formulato e adottato da Giulio Cesare nel 46 a.C. della durata di 365 giorni; egli introdusse un anno bisestile di 366 giorni, ogni quattro anni in modo che la durata media dell’anno civile coincidesse con l’anno solare. L’anno bisestile deve il suo nome al fatto che il giorno che veniva aggiunto era inserito dopo il 23 febbraio (nella denominazione latina il “sesto” giorno prima delle calende di marzo), divenendo così il “bisesto”.
L’ordine dei mesi e dei giorni della settimana previsto dal calendario giuliano rimane perlopiù tuttora valido.
Nel 44 a.C. Giulio Cesare diede il proprio nome al mese quintilis che divenne julius (luglio); il mese sextilis fu poi rinominato augustus (agosto) in onore del successore di Giulio Cesare, Augusto.

CALENDARIO GREGORIANO

Affinché le feste religiose potessero svolgersi correttamente occorreva riportare l’equinozio di primavera attorno al 21 marzo, come fissato nel 325 dal primo Concilio di Nicea. Nel 1582 papa Gregorio XIII istituì un nuovo calendario noto come calendario gregoriano.
Per eliminare l’errore accumulato vennero tolti per decreto, dieci giorni dal calendario stabilendo che il giorno successivo a venerdì 4 ottobre 1582 fosse sabato 15 ottobre. Per evitare un nuovo verificarsi dello stesso errore si definirono bisestili gli anni divisibili per quattro, ad eccezione di quelli centenari non multipli di 400. Così il 1600 fu un anno bisestile, ma il 1700 e il 1800 furono anni comuni.
Il calendario gregoriano fu gradatamente adottato in tutta Europa e oggi è diffuso nella maggior parte del mondo occidentale e in alcune parti dell’Asia. Fu introdotto in Inghilterra nel 1752, nell’ex Unione Sovietica nel 1918, e in Grecia nel 1923, anche se molti paesi affiliati alla Chiesa greca mantennero il calendario giuliano per la celebrazione delle feste religiose.


ARTICOLO A CURA DELL’ARCHITETTO ROSA MARIA TRENTADUE
Le notizie riportate nella presente trattazione sono state riassunte e semplificate per essere illustrate al pubblico. La completa ed esauriente trattazione è rintracciabile nel volume PIENZA – Il progetto di una visione umanistica del mondo – Jan Pieper -Edizione Italiana, 2000 – Edizioni Axel Menges, Stuttgart/London.

 

In collaborazione con www.portalepienza.it

SECONDO CENTENARIO DALLA MORTE DI GIORGIO SANTI

Lo scorso 30 dicembre 2022 ricorrevano i duecento anni dalla morte dello scienziato naturalista pientino GIORGIO SANTI; il Comune di Pienza, il Centro Studi Pientini e la Fondazione Conservatorio San Carlo stanno organizzando un evento per ricordare la figura del nostro concittadino, le cui opere ed i cui studi sono ancora ben presenti nella storia delle scienze naturali italiane. Di seguito un testo biografico e alcuni link ad altri contenuti; a breve daremo notizia della giornata commemorativa.

Giorgio Santi – Scienziato Pientino del ‘700
di Umberto Bindi e Colombini Giampietro

Lo scienziato naturalista pientino Giorgio Santi nasce a Montieri (GR) nel 1746 in quanto il padre Rutilio, funzionario statale, risiedeva momentaneamente in quella cittadina. La famiglia Santi era annoverata “tra le più antiche di Pienza” e come tale lasciò il segno nella vita cittadina dell’epoca; il fratello di Giorgio fu Vescovo di Sovana e la sorella Angela fu priora del Conservatorio San Carlo. Giorgio, grazie alla borsa di studio senese “Alunnato Biringucci” studiò a Parigi per nove anni, tornando in Toscana nel 1782 per essere nominato da Pietro Leopoldo Professore di Scienze Naturali presso l’Università di Pisa, dove ricoprì anche la carica di Prefetto del Giardino Botanico fino al 1822, anno della sua morte. Mantenne proprietà ed interessi nella sua cittadina, lasciando agli eredi indiretti (non avendo avuto figli) il palazzo Simonelli-Santi, tutt’oggi di proprietà della famiglia.

Morì a Pienza nel 1822 e fu sepolto nel cimitero della Pieve di Corsignano, dopo aver ricoperto anche cariche pubbliche (fu Operaio – ossia amministratore – del Conservatorio San Carlo); la sua copiosa corrispondenza (oltre 600 lettere scambiate con i più importanti scienziati italiani ed europei dell’epoca) è conservata presso la Biblioteca degli Intronati di Siena e rappresenta una delle testimonianze più ricche dello scambio culturale e scientifico del suo tempo.

Raramente si incontra fra gli studiosi vissuti fra Sette e Ottocento un personaggio rilevante come Giorgio Santi dal punto di vista scientifico, politico e culturale ad un tempo. La sua figura giganteggia nella storia nazionale scientifica e dà lustro a questa nostra città, Pienza, sempre ricca di storia e di personaggi straordinari. Giorgio Santi ci appare soprattutto come un uomo legato fortemente alla sua terra, nonostante la sua vita di professore e di uomo politico avesse già esperito altrove grandi vicende e mostrato infinito ingegno, come narrato sapientemente in questo volume. A noi pientini preme soprattutto sottolineare l’impegno e il valore scientifico profuso nei suoi libri di viaggio, compiuto fra la Val d’Orcia e l’Amiata. Lo studio degli ambienti geografici era parte del suo lavoro e della sua formazione e in quanto uomo di scienza trova un posto di eccezione nella letteratura odeporica, ovvero nelle relazioni di viaggio che fiorirono nel tempo in tutta Europa e anche in Toscana dopo i primi esempi esaltanti di Antonio Vallisnieri e di Pier Antonio Micheli. Tuttavia l’esponente del Settecento di maggiore spicco che forse ispirò il Santi fu Giovanni Targioni Tozzetti con la sua grande attenzione dedicata al paesaggio agrario senese e in particolare alle ‘crete’. Il Santi, come molti altri suoi contemporanei letterati della scienza, non riduce mai la sua ricerca alla spiegazione delle vicende umane e sociali, basandosi sul determinismo scientifico. Al Santi sembra interessare anche la presenza umana nel paesaggio agrario e nella natura, il destino di coloro che sono parte del movimento fisico e chimico della vita, anche se inconsapevoli contadini o lavoratori alle prese con l’assedio quotidiano della natura, il suo naturale degrado fisico, le sue trasformazioni, le sue ricchezze nascoste. Talvolta, percorrendo il territorio della Val d’Orcia e dell’Amiata sembrano non sfuggire al Nostro anche implicazioni morali e politiche legate alla storia del paesaggio e dei luoghi, una fusione nella sua ricerca di motivi di ordine fisico-agronomico e storico-politico ad un tempo. La sua ricerca non è mai puramente descrittiva e limitata alle osservazioni sul campo, ma è intessuta di quell’amore per la sua terra che caratterizza sempre i grandi uomini non solo in Val d’Orcia. L’interesse per la natura e la campagna toscana era stata già anticipata dalla “Inchiesta agraria” napoleonica e questa passione scientifica si manifestò agli inizi del secolo successivo nel clima della Accademia dei Georgofili e del Giornale Agrario Toscano, coinvolgendo studiosi di botanica, chimica, mineralogia, inserendosi nella complessa vicenda della moderna indagine naturalistica. A noi Pientini non sfugge tuttavia la familiarità dei luoghi con cui il Santi si muove nella nostra terra, frugandola palmo a palmo, quasi gioendo delle riscoperte susseguenti compiute in un paesaggio amico. Anche per questa ragione un personaggio ed uno scienziato come lui è sentito dalla nostra comunità come uno di noi, vissuto due secoli orsono.

Alleghiamo alcuni link ai contenuti sul Santi presenti nel nostro sito:

L’ALBERO DEI VENTAGLI DI GIORGIO SANTI

GIORGIO SANTI – BIOGRAFIA PIENTINA

GIORGIO SANTI – Scienziato pientino del Settecento

 

IL LIBRO: LA RELIQUIA DI SANT’ANDREA

Un nuovo tassello nella bibliografia pientina: la storia della reliquia di Sant’Andrea, patrono di Pienza e santo prediletto di Pio II a cura della Società Bibliografica Toscana.

Edito dalla Società Bibliografica Toscana e stampato dalla Tipografia Rossi di Sinalunga, il 30 novembre 2022 è stato pubblicato il volume che ripercorre le vicende storiche della reliquia di Sant’Andrea, patrono di Pienza e festeggiato proprio nell’ultimo giorno di Novembre.

Accompagnato dall’introduzione di Manlio Sodi e dai contributi di Costanza Contu, Nino Petreni e Vera Giommoni, il saggio storico di Arianna Antoniutti ripercorre le vicende che portarono la reliquia della testa  del Santo da Patrasso alle sponde del Tevere il 12 aprile 1462, proprio ad opera di Pio II.  Il Papa pientino, intervenuto per proteggere la reliquia dall’espansione dei “turchi”,  instaurò a Roma un vero e proprio culto del Santo, proclamandolo anche Patrono di Pienza e trasferendo un parte delle ossa nella sua città natia. Fece anche una promessa; la reliquia sarebbe ritornata a Patrasso non appena le condizioni storico-politiche lo avessero permesso. In realtà il reliquiario bizantino con il suo contenuto fu restituito solo nel 1964, ad opera di Papa Paolo VI. Quale risarcimento, a Pienza fu donato il reliquiario del ’400 commissionato all’epoca da Pio II al senese  Simone di Giovanni Ghini ed oggi esposto nel Museo Diocesano di Arte Sacra di Palazzo Borgia.  Il rapporto tra Pio II e Sant’Andrea sarebbe proseguito anche dopo la morte del Papa; le spoglie del Piccolomini saranno conservate nella chiesa romana di Sant’Andrea della Valle.

La reliquia di Sant’Andrea – Da Patrasso a Pienza e il suo ritorno a Patrasso
Manlio Sodi, Costanza Contu, Nino Petreni, Vera Giommoni, Arianna Antoniutti – Società Bibliografica Toscana – Con il patrocinio della Fabbriceria della Cattedrale di Pienza
Novembre 2022 – ISBN 978-88-98282-69-2

 

 

 

 

 

 

Mattia Preti – La Crocifissione di Sant’Andrea (part.) presente presso la Chiesa di Sant’Andrea della Valle a Roma

L’ANNUNCIAZIONE DISPERSA

Raccogliamo i racconti che Giancarlo Bastreghi diffonde su Facebook per la nostra rubrica sulle “curiosità” pientine; oggi proponiamo la storia delle due statue lignee realizzate da Francesco di  Valdambrino Domenico ( Siena-1363-1435) che rappresentano una “Annunciazione” dalle forme delicate, quasi angeliche.

Ci racconta Giancarlo che le due “opere sono scolpite su legno di fico, policromate e lumeggiate ad oro zecchino” e che risalgono al “XIV/XV secolo; realizzate dal Grande Artista Senese su commissione dei Frati Minori Conventuali di Corsignano in terra di Siena, per essere poi collocate al Culto nella loro Chiesa annessa al convento francescano”. Si tratta della Chiesa di San Francesco, situata a fianco dell’ex complesso conventuale, oggi adibito ad attività ricettiva, chiesa la cui facciata è ben visibile a chi passeggia lungo il Corso Rossellino.

Continua Bastreghi ricordando che all’epoca della realizzazione delle opere, il borgo si chiamava ancora Corsignano e che “diverrà città di Pienza solo nel 1462 per volontà del Suo Fondatore, Enea Silvio Piccolomini, Papa Pio II”.

“Dopo cinque secoli di ininterrotta permanenza a Pienza, le due Opere, agli inizi del XIX secolo, passate nel frattempo in disposizione di proprietà privata, furono da questa alienate al mercato dell’Arte, ed infine, dopo vari passaggi di proprietà, furono acquisite definitivamente dalla Corona Olandese, ed oggi si trovano esposte all’ammirazione  nel Museo Reale di Amsterdam.
N.B. Al tempo in Italia non esisteva alcuna legge di tutela sul Patrimonio Artistico Nazionale e quindi le Opere d’Arte potevano essere liberamente alienate sia sul mercato nazionale e sia su quello internazionale”.

Ringraziamo Giancarlo per i suoi racconti e vi diamo appuntamento alla prossima “curiosità”.

L’ALBERO DEI VENTAGLI DI GIORGIO SANTI

Il ritorno del Ginkgo Biloba di Giorgio Santi dopo 230 anni

di Umberto Bindi

Forse non tutti sanno che l’albero più longevo del Giardino Botanico dell’Università di Pisa è un bellissimo esemplare di Ginkgo Biloba piantato nel 1787 dallo scienziato naturalista pientino Giorgio Santi, allora direttore del Giardino e professore nella Facoltà di Scienze Naturali dal 1782 al 1822. C’è adesso la possibilità che piante provenienti dal Ginkgo del Santi, siano riportate a Pienza.

Ma ripartiamo dai protagonisti della vicenda, per arrivare agli ultimi sviluppi “botanici”.

Giorgio Santi

Giorgio Santi è stato uno scienziato naturalista pientino del ‘700. Per motivi di lavoro del padre Rutilio Santi, Giorgio nasce a Volterra il 17 aprile 1746 ma passa l’infanzia e i primi anni di studio nella nostra cittadina. Si laurea a Siena, studia per nove anni in Francia, assume l’incarico di professore ordinario all’Università di Pisa dal 1782 al 1822 ma non perde  mai i contatti con la città natale, stabilendovi la dimora familiare, soggiornandovi durante i mesi estivi e mantenendovi possedimenti, attività private e incarichi pubblici.

Scrive in una lettera del 1795:

“Io ho viaggiato, ho fatto lunghe assenze, e con tutto ciò non ho potuto mai staccare intieramente il cuore dalla piccola Città, che mi fu patria. La terra testimone dei nostri primi vagiti, dei primi anni della nostra età, cioè del più felice periodo della nostra vita, e dei nostri primi deliri ha generalmente una magia per attraerci, e per ritenerci, che pochi sanno vincere, e che i più savi, potendo ancora, non vorrebbero superare. Per me ogn’anno che io torno al mio paese, riassumo idee più liete e più libere e quasi mi sembra ringiovanire”.

Santi morì e fu sepolto a Pienza il 30 dicembre 1822.

L’insegnamento a Pisa

Giorgio Santi, come molti studiosi dell’epoca, ebbe interessi multidisciplinari; laureatosi in medicina e chirurgia, divenne successivamente professore di geologia, chimica, botanica e zoologia, non disdegnando di studiare e approfondire gli aspetti geografici e morfologici dei territori osservati durante i viaggi di studio e approfondimento. Tornato da Parigi nel 1782, il Granduca di Toscana gli assegnò la  cattedra di botanica, storia naturale e chimica presso l’Università di Pisa congiuntamente alla direzione del Museo di storia naturale e del giardino di botanica.

L’Orto Botanico e il Santi

L’Orto Botanico dell’Università di Pisa fu realizzato nel 1544 per iniziativa di Luca Ghini, con l’appoggio finanziario del granduca di Toscana, Cosimo I de’ Medici. Si trattò del primo orto botanico universitario del mondo; sorto originariamente nei pressi dell’arsenale mediceo, fu trasferito nel 1591 nell’attuale localizzazione, presso la celebre Piazza dei Miracoli.

A partire dal 1783, per opera del nostro Giorgio Santi, l’orto botanico ed il giardino ebbero nuovo impulso e nuove accessioni. Ancora oggi, nella sezione denominata “Orto del Cedro”, vivono i due esemplari più antichi: una Magnolia grandiflora ed un Ginkgo biloba  da lui piantati nel 1787. Santi rimase all’Università di Pisa per quasi quarant’anni, usufruendo di un appartamento annesso all’orto botanico in qualità di professore e di Prefetto del Giardino e del Museo.

Il Ginkgo Biloba

È un albero antichissimo le cui origini risalgono a duecentocinquanta milioni di anni fa nel Permiano e per questo è considerato un fossile vivente; esisteva già al tempo dei dinosauri. La pianta è originaria della Cina ed il suo nome significa “albicocca d’argento”; il nome fu attribuito alla specie dal famoso botanico Carlo Linneo nel 1771 all’atto della sua prima pubblicazione botanica. Il nome della specie (biloba) deriva invece dal latino bis e lobus con riferimento alla divisione in due lobi delle foglie, a forma di ventaglio.

Ecco le principali caratteristiche dell’albero:

Portamento: pianta arborea che raggiunge un’altezza di 30–40 metri, chioma larga fino a 9 metri, piramidale nelle giovani piante e ovale negli esemplari più vecchi.

Corteccia: è liscia e di color argento nelle piante giovani, diventa di colore grigio-brunastro fino a marrone scuro e di tessitura fessurata negli esemplari maturi.

Foglie: Ha foglie di 5–8 cm, lungamente picciolate, a lamina di colore verde chiaro. In autunno assumono una colorazione giallo vivo molto decorativa, dalla forma tipica a ventaglio leggermente  bilobata.

 

Fiori: la Ginkgo è una pianta gimnosperme e per questo non ha fiori come abitualmente li intendiamo. Le Gimnosperme presentano delle strutture definite coni o strobili o, come nel caso del Ginkgo, squame modificate. È una pianta che porta strutture fertili maschili e femminili separate su esemplari diversi. La “fioritura” è primaverile e tra impollinazione e fecondazione intercorrono alcuni mesi; quest’ultima avviene a terra all’inizio dell’autunno, quando gli ovuli sono già caduti dalla pianta madre e hanno quasi raggiunto le dimensioni definitive.

Semi: I semi sono lunghi 1,5–2 cm e sono rivestiti da un involucro carnoso  di colore giallo, con odore sgradevole a maturità per la liberazione di acidi. La germinazione del seme avviene fuori terra.

Distribuzione: la pianta è originaria della Cina, nella quale sono stati rinvenuti fossili che risalgono all’era paleozoica. La pianta, in natura,  è stata ritenuta estinta per secoli, ma recentemente ne sono state scoperte almeno due insediamenti nella provincia dello Zhejiang nella Cina orientale. Non tutti i botanici concordano però sul fatto che queste stazioni siano davvero spontanee, perché la Ginkgo è stata estesamente coltivata per millenni dai monaci cinesi.

Coltivazione: è una specie che ama il sole ed il clima fresco. Non è particolarmente esigente quanto a tipo di terreno anche se vegeta meglio in terreni acidi e non asfittici. È una pianta che sopporta le basse temperature: è stato dimostrato che non subisce danni anche a -35 °C. Le piante mal sopportano la potatura: i rami accorciati seccano.


Il ritorno

 L’arrivo dei semi del Ginkgo a Pienza è avvenuto grazie all’acquisto, nel bookshop del Giardino Botanico di Pisa (febbraio 2019), di alcuni esemplari provenienti dall’antica pianta; la semina, realizzata anche in collaborazione con l’attuale classe V della scuola Primaria di Pienza, ha avuto successo (due piantine su dodici semi) e attualmente è in corso il tentativo di far sviluppare le piante per poi trapiantarle in uno o più spazi pubblici nella città che fu del Santi.

Il cammino è molto lento ed impervio; serviranno almeno tre anni di coltivazione in vaso, con la speranza che gli esili fusti reggano ad estati e inverni “casalinghi”. Fortunatamente i primi due anni sono stati superati e (marzo 2021) si sono aperte le prime gemme della nuova stagione.

LA TORRE RITROVATA

Una buona notizia sul fronte dei beni culturali: la Torre del Cassero di Monticchiello torna ad essere pubblica, dopo oltre 50 anni di proprietà privata e divieto di accesso. Il Centro Studi Pientini si complimenta con tutti gli “attori” che sono riusciti nell’impresa e si augura che il “ritorno” sia di buon auspicio per il rilancio del patrimonio monticchiellese e stimoli nuove iniziative. Riportiamo il testo del Sindaco Manolo Garosi del 28 agosto scorso.

Continua la lettura di LA TORRE RITROVATA

PIENZA IN… FINLANDIA

Pienza in… Finlandia
Un disegno poco conosciuto di Hilding Ekelund *

Aldo Lo Presti

Presso l’Art Museum di Amos Anderson, che raccoglie una delle più cospicue collezioni d’arte private in Finlandia (comprendente circa 6.000 opere, principalmente dipinti, sculture, disegni, stampe e fotografie, ma anche tessuti, mobili e oggetti in vetro e ceramica, che documentano, nel loro insieme, il modernismo finlandese nelle sue più varie manifestazioni) è stata allestita, nell’autunno del 2011, una mostra dedicata all’attività dei fratelli Ragnar e Hilding Ekelund (tra disegni, dipinti, schizzi architettonici, modelli in scala e documenti fotografici) intitolata Katujen kertomaa (Poetica della Strada) che manifesta pienamente la loro attività artistica e professionale.

Figli di un chimico di lingua svedese, Ragnar e Hilding Ekelund trascorsero la loro infanzia a Kangasniemi nel sud del Savo. Fondamentale per la loro iniziazione artistica fu la frequenza del Liceo di Porvoo nel 1904 che offrì ai due fratelli l’occasione di passare dalla semplicità del paesaggio rurale che nutrì la loro adolescenza, alle strade e ai vicoli di una piccola città dalle architetture essenziali, maturando in tal modo un’attenzione minuziosa verso quei particolari strutturali che poi andranno a ricercare nei borghi spagnoli, francesi, svedesi, estoni e italiani.

Ragnar Ekelund (1892-1960), il più anziano dei due, sebbene di soli 11 mesi, è noto come pittore e poeta che trovò ispirazione nei suoi vagabondaggi di studio in Europa, che gli permisero di mutare i colori della sua tavolozza, dai toni scuri dei primi lavori alla gamma di colori più caldi nelle opere più recenti. Hilding Ekelund (1893-1984) trovò la sua strada come architetto, studiando presso l’Helsinki University of Technology, laureandosi quindi nel 1916, e che spaziò nei suoi progetti dal classicismo nordico degli anni ’20 al “modernismo” – noto in Finlandia come “funzionalismo” il cui esponente più noto fu Alvar Aalto – che reputò più adatto a rispondere alle necessità dalla crescente urbanizzazione del paese.

Tra gli edifici più importanti di Ekelund si citano la Taidehalli Art Gallery (insieme a Jarl Eklund) a Helsinki (1928), la chiesa Töölö a Helsinki (1930), l’ambasciata finlandese a Mosca (1938), e una serie di edifici per le Olimpiadi estive del 1952 tenutesi a Helsinki, tra cui lo Stadio Olimpico di Canottaggio, il velodromo olimpico e il villaggio dei giochi olimpici.

Dalla mostra (Poetica della strada. Le città pittoresche di Ragnar e Hilding Ekelunds, 16 settembre 2011 – 9 gennaio 2012) è scaturito un catalogo intitolato per l’appunto Katujen kertomaa (La poetica della strada), un volume pubblicato dalla Finnish Literature Society e dalla Society of Swedish Literature in Finlandia. Comprende saggi elaborati da Erik Kruskopf e Riitta Nikula. Il bellissimo volume, nel quale è stato pubblicato il carteggio tra i due fratelli che documenta la loro completa sintonia nelle scelte artistiche e architettoniche, il loro umorismo e i loro valori estetici, è stato curato da Susanna Luojus e Itha O’Neill.

Tra i numerosi disegni e schizzi di Hilding Ekelund esposti in mostra, eseguiti durante i suoi viaggi di studio nelle piccole città dell’Europa meridionale, si segnala quello “animato” intitolato Mercato a Pienza datato 1922 che raffigura il “Palazzo Communale” [sic], il “Palazzo Vescovile” e le caratteristiche bancarelle del mercato.

Si tratta di una rara testimonianza della crescente capacità attrattiva della nostra città che inizia ad acquisire tutte quelle caratteristiche che oggi la rendono attraente agli occhi degli artisti e dei turisti: un’invidiabile armonia delle proporzioni architettoniche (che si ritrova nelle opere strutturalmente robuste ma allo stesso tempo sofisticate di entrambi i fratelli) ed un altrettanto invidiabile eccellenza artistica stratificatasi nelle chiese, nei musei e nelle dimore nobiliari cittadine.

* Tutte le notizie e le immagini sono tratte da:
http://amosanderson.fi/en/exhibitions/poetics-of-the-street
e Wikipedia.

PIO II CON LA BARBA

Riceviamo da Matteo Parrini, fertile studioso di Matelica e collaboratore del Centro Studi Pientini, immagini e commenti su alcune raffigurazioni di Pio II con la barba. La prima immagine, già pubblicata nel n. 7 di Canonica, proviene dal Palazzo Comunale di Sassoferrato, mentre le altre sono immagini per noi inedite, che di seguito proponiamo ai nostri lettori.

Di Matteo Parrini

Il Cardinale Bessarione nel Monumento Funebre di Pio II

Le due raffigurazioni di Pio II con la barba che segnalo in questo breve articolo risalgono, sia per l’affresco del palazzo comunale di Sassoferrato che per il santuario della Beata Vergine di Mantova, alla seconda metà del XVI secolo. In quel periodo altri vari pontefici ebbero la barba e si diffuse la concezione che Pio II, da protettore delle lettere greche e del cardinale Bessarione, non fosse stato affatto contrario alla barba, essendo stato lui in conclave ad aver affermato: «Nondum barbam rasit Bessarion, et nostrum caput erit?» (Se quindi il Bessarione si rasasse la barba, sarà anche il nostro capo?).

Anche nella famiglia Piccolomini la barba sarebbe stata ben vista, come dimostrò Antonio Piccolomini, nipote del papa, noto per la bella barba nera fluente.

L’aspetto di entrambi i “Pio II” barbuti può rimandare all’aspetto dello stesso Bessarione che si vede sul monumento funebre di Pio II a Roma o al Sant’Andrea del Tempietto di Sant’Andrea a Porta del Popolo (realizzato tra il 1551 ed il 1553), dove si ricorda l’arrivo a Roma, nel 1462 della preziosa reliquia dell’apostolo.

Sant Andrea del Tempietto a Roma

L’immagine di Pio II nel santuario di Mantova (qui si fermò oltre 8 mesi) riporta infine all’immagine dei papa del Concilio di Trento e l’iscrizione sottostante è: «Dopo le cure dolorose e gravi, Chiuso il Concilio, il successor di Pietro A Te porge Maria ambe le chiavi». D’altra parte lo stesso Pio II nei suoi Commentari, al libro XI, si è soffermato sul fatto che «quae illa in aetate barbam requiret», ossia con l’anzianità, arriva anche la barba come segno distintivo di saggezza (Ringrazio Roggero Roggeri per la segnalazione della statua di Pio II nel Santuario di Mantova).

Santuario Vergine delle Grazie di Mantova

Credo che si possano trovare anche altre immagini di un improbabile Pio II barbuto; per adesso segnalo che a Bologna esiste un dipinto del ‘600 con Enea Silvio Piccolomini, non ancora papa, giustamente senza barba.

BECCACERVELLO E LA SUA PROBABILE STORIA

Riprendiamo dalla pagina Facebook di Giancarlo Bastreghi un interessante articolo che parla di un luogo caro ai pientini, il podere BECCACERVELLO. Tra le persone che lo hanno abitato recentemente ricordiamo il compianto ALEARDO PAOLUCCI, pittore e artista ineguagliabile e ROMEA RAVAZZI, anch’essa pittrice di rara poesia. Bastreghi allarga l’orizzonte ipotizzando un passato altrettanto ricco di arte e storia.

UNA CURIOSA NOTA, SOPRA UNA ANTICA STELE CARICA DI MEMORIE E FATTI PIENTINI

Credo che a molti di noi passeggiando lungo la strada che da S. Caterina conduce verso il bosco di Porciano, oltrepassato il cimitero, nell’avvicinarsi a “Beccacervello” e gettato lo sguardo nel giardinetto, abbiano notato l’edicola monumento in cotto di mattoni con incussa una pietra inscritta e che non si siano chiesti quale “segreto“ poteva celare, e perchè mai, e per quale ragione essere giusto lì “monumentata”. A Pienza, tra i Pientini del passato, il “mistero“ fu risolto col dire; <<….che nella pietra si raccontava la memoria antica che celebrava la nascita di Enea Pontefice, proprio lì, in quel di “Beccacervello”, cosa questa sicurissima perché detta e sentita e tramandata dai Padri dei Padri!>> e così dicendo di anno in anno la leggenda è continuata sino praticamente ai giorni nostri!
In verità le cose non stavano proprio così come tutti sappiamo… però la “curiosita’” e il perché per quel monumento in tanti di noi continua, quindi oggi cercherò il raccontarvi di come stavano i fatti e le venture, iniziando con lo svelare il “segreto” scritto nella stele in “Pario” del giardino e chi ne fosse Autore.

TESTO SCRITTO IN LATINO IN CARATTERE TONDO

HOC SIMEON. BAFFUS SAXIS AC VEPRIB. (us)
HORRENS ARUM MACERIE SEPSIT ET
EXCOLUIT INNUERIS QUE OPERUM IMPENSIS
CONSEVIT ET AUXIT ARBORIBUS FERRO VIX
SILICE EDOMITA PRAEDIUM ET URBANAM
STRUXIT SEDEM Q. COLUMBIS ET SCRUPIS
RECTAS STRAVIT UTRUNQUE VIAS
HINC DEUS AVERTAT VIM CAELI ET GRANDINIS
RAS UT LAETAS SEGETES GRATA(s) Q. POMAS FERAT.
ANNO GRATIE MDLXXV PRINCIPATU FRANC. MED.
MAGNI ETRURIAE SECUNDI.

TESTO TRASCRITTO IN ITALIANO :

Questo campo, irto di sterpi e di macigni,
Simeon Baffo cinse d’un muro a secco
e coltivò con cura ; con lavori di ingentissimo
costo lo seminò e lo arricchì di alberi ;
ogni pietra eliminata a fatica con l’aratro ,
ne fece un podere ed eresse una civile abitazione
e dall’una e dall’altra parte lastricò di pietre
le diritte vie.
da questo luogo Dio allontani l’ostilità del cielo
e la furia della grandine , affinché produca
copiose messi e graditi frutti .
Anno di Grazia 1575 , sotto il Principato di
Francesco I de’ Medici , secondo Granduca di Toscana

Ed eccovi ora i fatti, giustappunto o pressappoco, come dovevano stare:
Al tempo tutta la terra che andava da Pienza,sia a destra che a sinistra lungo la strada per San Quirico, oggi via di S. Caterina , e oltre appartenevano alla Cattedra Vescovile, e ne godeva e disponeva per diritto dotale delle proprietà il Vescovo titolare Pientino. Il Vescovo di Pienza e Montalcino era al tempo Francesco Maria Piccolomini (1554-1599) ultimo vescovo della due diocesi unite, il quale ,tra le tante altre cose , partecipò al Concilio di Trento dal 1545 al 1563 , fatto questo che determinerà certi eventi di cose pientine alla base di questa modesta “ricerca” .
Di converso il “Nostro” Simon Baffo della esposta scritta , apparteneva ad una illustre famiglia veneziana,ascritta al Patriziato,e originaria di Cipro, e il “nomen” di detta famiglia si identificava con il toponimo della città Cipriota di Paphos, da cui trasse poi il nome per la propria “gens”.
Nella Repubblica Veneta i vari membri di questa famiglia godettero di importanti incarichi nel Maggior Consiglio , e si distinsero per i favori che concessero al Clero della Repubblica. Alla famiglia Baffo appartenne Cecilia Venier Baffo, (1525-1587) la futura “Nurban”, figlia di Nicolò Venier e di Violante Baffo, che sarà moglie prediletta di Selim II Sultano dei Turchi,e madre di Amurat III.


La Famiglia Baffo si estinse nell’ultimo quarto del XVIII secolo con Giorgio Baffo,(1694-1768) Veneziano – poeta Lubrico e vernacolare.
E’ mia personale ipotesi che il “nostro” Baffo (quasi sicuramente sacerdote dato il suo incarico prelatizio, anche per la dimostrata conoscenza Latina formale-stilistica della scritta in “Latino Celebrativo” nell’epigrafe, sia, con molta probabilità, opera sua) e’ mia opinione personale che il Baffo sia stato “assunto all’uffizio“ a Venezia dal Piccolomini, quale suo segretario e amanuense personale al Concilio di Trento,e che una volta concluso il Concilio il nostro per la valenza dimostrata al servizio del Presule ,su invito di questi abbia seguito il Vescovo a Pienza, quindi incardinato nel Clero Pientino. A Pienza edifica la sua Signorile dimora su di un terreno della Cattedra Vescovile, prospiciente la Città, concessagli dal Piccolomini per benevolenza e a ricompensa dei suoi buoni uffici nel Concilio , e anche per l’affetto filiale dimostrato alla sua persona .
E dunque – infine – la domanda; Perchè, che di poi, tale Villa fu nomata “Beccacervello“?

Tra tutti i dizionari di toponomastica che ho potuto visionare, non risulta il toponimo “Beccacervello” e anche il Repetti lo ignora, quindi avrei ipotizzato una mia personale formulazione per spiegare circostanze e fatti di questo curioso appellativo:

*Nel “Dizionario delle Origini” edito a Milano nel 1831 ho trovato:
”si disse “Beccarsi il Cervello“ per fantasticare e darsi a intendere quello che non può essere, il Varchi notò che si “Beccava il Cervello “uno che faceva i “Castellucci in Aria”, e il Fiorenzuola, accennò a una Padrona che si “Beccava il Cervello” il per chiamare persone che non volevano venire, e infine il Berni cita il detto “C’e chi si Becca il Cervello, in modo, chi in altro”.
Infine di poi ho cercato nei modi di dire è ho trovato: ” Beccarsi il Cervello; “riuscire nell’intento con guadagno, ma anche ammalarsi (di Cervello)”.
Il “Vocabolario Fiorentino e dei modi di dire Toscani”; “Beccare“prendersi una malattia, ammalarsi.
In conclusione, visto che oramai l‘ho fatta troppo lunga, sarei arrivato alla determinazione di concludere, che il toponimo di “Beccacervello” fu il nome surrogato dalla Villa proprio da Don Simeone Baffo, dopo la sua dipartita al Padre Eterno, e così chiamata di poi dal popolo pientino “ad memori” per detto Monsignore, e ribattezzata dai pientini antichi con il soprannome personale del proprietario, don Baffo, il così detto e conosciuto da tutti al tempo; ”il Beccacervello”, cioè di un pignolo e prolisso “rompicoglioni” che crea complicanze per carattere dei modi di agire e senza determinazione alcuna. (A Pienza ne sopravvivono a tutt’oggi alcuni noti esemplari).
Un‘ultima nota: il Barbacci scrisse circa le varie cose di Pienza che: ”…a poca distanza fuori dalla Porta al Prato eravi un tempo una Cappelletta dedicata alla Madonna del Rosario, ad oggi scomparsa e non più esistente (…) , e’ una mia ipotesi che tale Cappella della Madonna del S.S. Rosario si riconoscesse ,in ragione delle motivazione che sotto espongo, proprio nella cappella privata della villa di Mons.Baffo, (oggi e’leggibile la porta in parte tamponata e residuata con la finestra dello studio di pittura dei Paolucci, che si affaccia proprio a fronte sul giardino del “monumento“), questa solenne Celebrazione, al tempo, novella devozione, per l’accolto “Voto di Grazia“ al Pontefice Romano, e quindi istituito e canonizzato da Pio V, che ogni ”Mezzodì ed in Eterno” fosse intesa per ricordanza di Grazia con il solenne suono “a doppio disteso” di tutte le campane della Cristianità per la Grazia ottenuta dalla “Vergine Maria“ nella vittoria Cristiana di Lepanto sugli “infedeli” Turchi, avvenuta quattro anni prima alla costruzione della “Villa”, il 7 ottobre del 1571.
Ancor oggi l’antica canonica disposizione Pontificia viene solennizzata in tutta la Cristianità, a memoria della Grazia Ricevuta a Lepanto dalla Madonna del Rosario, le campane di tutte le Chiese suonano “al doppio”, ogni Mezzodì, di ogni giorno e per tutti i giorni che saranno.
Eccovi esposte – e gradite spero – queste mie divagazioni circa una misteriosa scritta, uno strano nome e un prete. […]

SQUALI NELLE CRETE

di Umberto e Giulio Bindi

Dai fondali pliocenici del mare toscano riemergono resti fossili di antiche balene, delfini e squali; non è difficile imbattersi in piccoli reperti che raccontano la storia di una terra antichissima.

L’ANTICO MARE RIEMERSO

Il ritrovamento fortuito di un dente di squalo fossile nelle crete valdorciane è l’occasione per riprendere l’argomento dell’articolo pubblicato nel numero 2 della nostra rivista CANONICA (2012); l’articolo, dal titolo “Il delfino fossile di Lucciola Bella”, raccontava lo straordinario ritrovamento di alcune significative parti dello scheletro di un delfino vissuto durante il periodo Pliocenico, nelle argille di Lucciola Bella, a pochi chilometri da Pienza.

Sappiamo con certezza che durante l’era geologica denominata Pliocene (tra i 2,5 e i 5,3 milioni di anni fa) una buona parte della Toscana era sommersa da un mare tropicale e che le terre emerse erano costituite da alcune isole sparse in corrispondenza delle vette del fondale sottostante. In quel periodo sui fondali si formarono le argille che oggi costituiscono una buona parte delle terre emerse e che sono costituite anche dai resti fossili della fauna marina allora esistente.

Il Delfino Etrusco ritrovato nel 2003 dal GAMPS (Gruppo “Avis” di Mineralogia e Paleontologia di Scandicci) costituisce un esemplare molto importante ed è stato oggetto di studi, catalogazioni ed esposizioni, per essere oggi conservato presso il Museo Geopaleontologico GAMPS di Scandicci (FI). Per i non addetti ai lavori non è difficile trovare altri resti minori tra cui resistentissimi denti di squalo; dopo forti temporali non è raro imbattersi in esemplare dilavati dalle acque e liberati dai depositi antichi di milioni di anni.

I ritrovamenti dell’estate 2017 da noi effettuati sono avvenuti in una piccola parete di argilla lungo la strada che dalla Pieve di Corsignano porta ai poderi Morgiaglie e Podernuovo; eravamo alla giocosa “ricerca di ossa di dinosauro”, con tanto di piccozze, scalpelli e spazzole d’ordinanza e ci eravamo cimentati da circa mezz’ora nella raccolta di conchigliette fossili e qualche pezzo di minerale. Dagli strati di cui è composta l’argilla emergevano piccoli esemplari di conchiglie e la nostra “forza d’urto” scalfiva appena la superficie dei depositi pliocenici, per cui iniziammo a guardarci intorno perché l’azione dilavante delle acque piovane avevano portato in superficie vari elementi; ad un tratto, un piccolo bagliore aveva attirato la mia attenzione e, avvicinatomi al suolo, ho notato distintamente un pezzo grigio dalla forma piuttosto regolare. Non lo stavo cercando ma avevo già visto in qualche documentario quella forma triangolare e non ci ho messo molto a realizzare che si trattava di un dente di squalo. Ho raccolto l’esemplare scalzando la piccola zolla di argilla che lo sosteneva e l’ho mostrato a Giulio, cercando di spiegargli come fosse possibile tale ritrovamento; resti di pesci in mezzo alla terra!? Non vi dico la sorpresa di un bambino di sei anni che sente dire che avevamo in mano un dente del pericoloso predatore marino.

IL DENTE n. 1

Si tratta di un dente superiore dalla forma triangolare, che lo squalo utilizza per tranciare la preda, dopo averla afferrata con i denti inferiori, solitamente più aguzzi e aghiformi. A differenza di quelli umani, i denti dello squalo non sono fissi nella cartilagine della mascella ma sono ancorati al derma tramite fibre connettivali. Nella sua vita un esemplare può arrivare a cambiare anche 20.000 denti.

Le dimensioni del ritrovamento sono piuttosto modeste; misura infatti 14 mm di larghezza e 15 di altezza; la fascia alla base della struttura (radice), leggermente arcuata, misura 3 mm. Il rivestimento esterno è costituito da smalto a protezione della dentina sottostante. Le sue condizioni sono perfette; la superficie è lucida e priva di escoriazioni o scalfiture ed è tutt’ora estremamente affilato.

IL DENTE N. 2

L’appetito vien mangiando così qualche settimana dopo siamo tornati con Giulio e la mamma nella piccola parete argillosa e siamo stati di nuovo fortunati; dopo qualche decina di minuti di ricerca un altro dente, del tutto simile al primo ma più piccolo e di colorazione nocciola, è apparso nella superficie arida e asciutta della creta. Lo abbiamo raccolto lasciandolo nella piccola zolla di argilla che lo ha conservato per tantissimi anni e ne pubblichiamo qui sotto l’immagine.

Al termine di questo piccolo contributo voglio segnalare alcune ricerche e articoli sull’argomento, primo tra tutti il già citato lavoro pubblicato sul n. 2 della rivista CANONICA, scaricabile al seguente link. Interessante, per i bambini, il lavoro pubblicato nel sito del Politecnico di Milano dal titolo “Quando in Val d’Orcia c’era il mare … ed a Lucciola Bella gli squali mangiavano i delfini (cliccare sul titolo per raggiungere il sito). Infine l’interessante video di Simone Casati, membro del GAMPS, visibile su Youtube